CONTENUTI DOMUS 1095 – NOVEMBRE 2024
Norman Foster: le energie rinnovabili hanno limiti, il nucleare un grande potenziale
Nell’editoriale di novembre, il guest editor di Domus invita a una riflessione critica sull’impatto ambientale di solare ed eolico, sottolineando come invece avrebbe senso rivalutare il nucleare.
Nel quadro della lotta al cambiamento climatico, sono un convinto sostenitore delle energie rinnovabili come il solare e l’eolico, non solo da quando sono diventate predominanti, ma già da sei decenni, quando erano considerate soluzioni marginali. I nostri disegni degli anni Sessanta mostrano come l’alta densità possa favorire sia il senso di comunità sia la privacy, preservando al contempo la natura e la biodiversità. All’inizio degli anni Settanta, combinavamo questi principi con energia solare, turbine eoliche, desalinizzazione e riciclaggio dei rifiuti come fertilizzanti. Uno di questi progetti evidenziava il potenziale di rigenerazione di un’isola delle Canarie attraverso l’agricoltura e l’ecoturismo. Un altro dimostrava come il lavoro e il tempo libero potessero essere integrati in un bosco di pini in Norvegia preservando l’habitat naturale.
In quel periodo, avendo come obiettivo la realizzazione di un ambiente più sano e la riduzione del consumo energetico, siamo passati alla pratica costruttiva concreta con il Sainsbury Centre for Visual Arts (1978): un edificio che ‘respira’, a clima controllato, senza usare energia per la refrigerazione. Anche prima che l’opinione pubblica abbracciasse le energie rinnovabili, ci siamo impegnati per contribuire a rivoluzionare la progettazione. Per esempio, nel 1993 abbiamo collaborato con l’azienda tedesca Enercon per mostrare come applicare un sistema innovativo di trasmissione diretta da rotori di 32 m di diametro al suo generatore. L’eliminazione di un riduttore tradizionale evitava problemi di manutenzione e d’inquinamento acustico associati alle turbine eoliche dell’epoca. Più di tre decenni fa, una singola turbina era in grado di fornire energia pulita a 1.600 abitazioni, con una potenza massima di 2 MW.
Più di recente, abbiamo cercato di dimostrare come l’energia solare potesse passare, nel progetto, da elemento aggiuntivo a sistema integrato, attraverso la facciata: una struttura abbastanza trasparente da consentire la vista e l’ingresso della luce naturale, ma anche di immagazzinare energia. Anche in questo caso, si tratta di un serio tentativo di incrementare lo sviluppo delle rinnovabili contro il cambiamento climatico. Eppure, dopo un impegno di decenni e un’instancabile difesa di questa causa, come mai oggi sto avendo seri ripensamenti su quella che è diventata una strategia globale, basata sulle energie rinnovabili? Cercherò di spiagarne il motivo in modo semplice e diretto.
A dispetto delle buone intenzioni, stiamo erodendo l’ambiente naturale che è fondamentale per la nostra sopravvivenza.
Vorrei iniziare con un’analogia letteraria dal romanzo di Graham Greene Un caso bruciato (1960) – guarda caso, il protagonista del libro, Querry, è un architetto. La storia è ambientata in una colonia di lebbrosi in Africa e una delle sue possibili letture è il modo in cui la reputazione e il carattere di un individuo possano essere corrosi da insinuazioni diffamatorie. Si tratta probabilmente dell’equivalente mentale della vita del lebbroso nella colonia, dove la malattia è combattuta praticando amputazioni, cosicché, alla fine, la persona sopravvive, ma la cura l’ha distrutto.
Se il paziente è il nostro pianeta e la cura è rappresentata dalle rinnovabili, ecco che allora inizio a intravedere un futuro in cui la Terra ‘sopravvive’ ma è esanime, perché la natura è stata distrutta o seriamente compromessa dal rimedio. Come specie umana, il legame con la biodiversità è centrale per la nostra salute fisica e mentale. L’importanza di questo rapporto è stata quantificata da numerosi studi, tra i quali spicca il saggio del 1981 di Edward O. Wilson, significativamente intitolato Biofilia. La conservazione degli ecosistemi – in altre parole, della natura – è al centro della nostra ricerca per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico. Tuttavia, l’attuale soluzione in termini di energia, che è focale, sta tappezzando in modo inedito le nostre terre e i nostri mari di invasive turbine eoliche e sterminate distese di pannelli solari. A dispetto delle buone intenzioni, stiamo erodendo l’ambiente naturale che è fondamentale per la nostra sopravvivenza.
Questo non significa negare l’importanza dell’eolico e del solare nella ricerca di energia pulita. In Svizzera, esiste un premio a mio nome per gli edifici che combinano la qualità architettonica con le prestazioni ambientali, e ha svolto un ruolo importante nella promozione del fotovoltaico: i progetti vincitori superano regolarmente il 300 per cento di energia in eccesso. La questione è sicuramente legata al contesto, soprattutto quando la distruzione della campagna è evitabile con una fonte altrettanto pulita e affidabile come la fissione nucleare. Se agiamo sulla base dei fatti e non delle emozioni, i dati ci dicono che questa è la forma più sicura, con un margine enorme. In termini di mortalità, a parità di energia elettrica, per ogni decesso causato dal nucleare, se ne verificano 2.600 determinati dai combustibili fossili.
Sebbene siano citate tra i suoi svantaggi, le scorie della fissione non solo sono minime ma, a differenza di altre forme di energia, sono controllabili dall’inizio alla fine. È significativo che nessuno sia morto a causa delle scorie nucleari, a differenza degli otto milioni di decessi all’anno stimati per l’inquinamento atmosferico, in gran parte causato dai combustibili fossili. Si tratta di quasi 40 miliardi di tonnellate di gas ogni anno, difficili da comprendere perché invisibili.
Quando pensiamo alla produzione di energia, ci vengono subito in mente mega centrali, tralicci e linee di trasmissione. Una visione che non mettiamo mai in discussione. Eppure, non molto tempo fa, facevamo lo stesso con i telefoni. C’erano i centralini manuali, dove centinaia di persone (per lo più donne) infilavano e sfilavano spinotti a prese per mettere in comunicazione telefoni collegati da pali e cavi che attraversavano il paesaggio. Quel sistema si è poi dissolto con l’arrivo dei telefoni cellulari, serviti da satelliti nello spazio. Alcuni di questi, così come i sottomarini che navigano nelle profondità dei nostri oceani, sono alimentati da minuscoli reattori nucleari. La Norman Foster Foundation ha collaborato con il Centre for Advanced Nuclear Energy Systems del MIT per dimostrare l’applicazione di una nuova generazione di microreattori o batterie nucleari. Immaginate un reattore standard di sei metri, le dimensioni di un container, con un modulo di potenza interconnesso di dimensioni simili, in grado di fornire 10 MW di elettricità. In un seminterrato potrebbe alimentare un isolato di Manhattan o una piccola città.
Il legame con la biodiversità è centrale per la nostra salute fisica e mentale.
Se posizionato nel paesaggio, rappresenterebbe un minuscolo puntino rispetto a 174 ettari di turbine eoliche o 20 ettari di pannelli solari. La batteria nucleare non richiede manutenzione: ogni sette anni, il nucleo del reattore contenente il combustibile viene sostituito e non vengono stoccate scorie in loco. Il progetto è a prova di guasto e il suo combustibile è uranio a basso arricchimento, non di tipo militare. La necessità di concentrare la potenza o la densità energetica del nucleare, rispetto al solare e all’eolico va oltre il mio appello a salvare la natura. Dopo due decenni di diffusione, l’anno scorso l’energia solare ha fornito appena il 5,5 per cento della produzione mondiale di elettricità. Questo dato sarebbe già preoccupante se il mondo fosse statico, ma soffermiamoci sui centri elaborazione dati e sull’aumento vertiginoso della domanda di energia da parte dell’intelligenza artificiale: la potenza di calcolo necessaria per sostenerne la crescita raddoppia all’incirca ogni cento giorni. I data centre sono già enormi divoratori di energia e acqua, e si prevede che la loro domanda di energia raddoppierà nei prossimi due anni. Google si è già impegnata a costruire minireattori nucleari per rispondere a questo incremento.
Un’altra questione, raramente considerata nelle previsioni energetiche future, è la situazione del 14 per cento dell’umanità: più di un miliardo di persone che non ha accesso all’elettricità per riscaldarsi, rinfrescarsi o cucinare, all’acqua pulita, a servizi igienici moderni o a un’abitazione adeguata. La Nigeria, per esempio, stima che entro il 2050 avrà bisogno di 15 volte l’attuale quantità di energia per aumentare gli standard di vita e industrializzarsi. Se non rispondiamo a queste esigenze entro quella data, due terzi della popolazione urbana mondiale sarà nelle stesse condizioni. C’è poi la frenetica corsa all’elettrificazione della mobilità, che in gran parte ignora la realtà: se la maggior parte dell’elettricità ‘pompata’ nelle batterie di questi veicoli (EV) proviene da una fonte ‘sporca’, si tratta comunque di un’auto ‘sporca’.
A ciò si aggiunge il maggiore contenuto di carbonio incorporato nella sua produzione rispetto a una vettura equivalente a benzina. Per collocare il tutto in un contesto più ampio, se l’energia necessaria per fabbricare una vettura elettrica è pulita, allora l’auto dovrà essere guidata solo (e sottolineo solo) per almeno 13.000 km per raggiungere il pareggio in termini di impronta di carbonio. Se, invece, più probabilmente, l’energia proviene da combustibili fossili, allora dovrà percorrere quasi 130.000 km prima di superare la soglia di neutralità in termini di emissioni di carbonio e diventare verde. In qualsiasi dibattito sulle implicazioni più ampie della rivoluzione verde, raramente si fa riferimento alle conseguenze sociali ed economiche dell’estrazione di minerali come litio, rame, grafite, cobalto e nichel, che sono fondamentali per la tecnologia delle batterie e dei veicoli elettrici. Per soddisfare la domanda mondiale nel prossimo decennio, si stima che sarà necessario aprire quasi 400 nuove miniere.
Il che significa maggiore energia consumata. Sommando tutti questi dati, abbiamo bisogno di una quantità di energia pulita che va oltre le capacità delle nostre attuali linee d’azione. Dobbiamo superare la mentalità “malta e mattone”, ovvero quella che ci porta a costruire grandi centrali – soprattutto quelle create dalla Germania per il carbone – e a chiudere centrali nucleari pulite e sicure, acquistando invece elettricità prodotta da quelle francesi. Questo è il trionfo definitivo della follia del partito dei Verdi sull’evidenza dei fatti. Invece di costruire centrali elettriche, dovremmo costruire le fabbriche che produrranno le unità modulari industrializzate del futuro.
Dopo due decenni di diffusione, l’anno scorso l’energia solare ha fornito appena il 5,5 per cento della produzione mondiale di elettricità.
Queste possono essere minuscole, come le batterie nucleari (NB) da dieci MW, o più grandi, come i piccoli reattori modulari (SMR). Rolls Royce ha fatto progredire questa tecnologia al punto che prevede di avere un’unità dimostrativa funzionante nel 2026 con una potenza di 470 MW e un’estensione di soli 2,1 ettari. A differenza del Santo Graal della fusione, questa tecnologia è già sperimentata e collaudata, e si spera abbia successo e che, anzi, la superi. Tutte queste strade portano a un futuro energetico più autonomo e impediscono che venga usata impropriamente come strumento bellico. L’autonomia permetterebbe anche di evitare incidenti come il crollo delle infrastrutture obsolete di proprietà di fornitori di servizi ormai in bancarotta, che hanno letteralmente scatenato gli incendi in California del 2020 e del 2021.
Esiste anche un imperativo morale per aumentare la distribuzione dell’energia. A parte le eccezioni, le società che consumano molta energia hanno in genere una mortalità infantile più bassa e una maggiore aspettativa di vita, con più ampie libertà sessuali e politiche, e meno violenza. I servizi che molti di noi danno per scontati, in quanto parte privilegiata della società, devono ancora essere condivisi e rimangono un lusso per coloro che ne sono ancora privati.